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Gengive infiammate? Dall’alimentazione un aiuto concreto!

Gengive infiammate? Dall’alimentazione un aiuto concreto!

La gengivite (infiammazione delle gengive) rappresenta una patologia di frequente riscontro che può risultare molto fastidiosa per via dei sintomi poco piacevoli e spesso imbarazzanti che porta con sé (alitosi, sanguinamento e gonfiore delle gengive, difficoltà nell’assunzione di alcuni cibi).

Se è vero che ad esempio l’assunzione di cibi troppo duri o croccanti può provocare un maggior sanguinamento delle gengive, esistono d’altro canto alimenti che possono migliorarne lo stato di salute, limitando i sintomi dell’infiammazione gengivale, favorendone la guarigione e garantendo persino una prevenzione di stati infiammatori.

E allora come dobbiamo comportarci a tavola ? Quali cibi dobbiamo evitare e quali dobbiamo introdurre nella nostra dieta? Ecco alcuni consigli alimentari per chi soffre di gengive infiammate.

Cibi da mettere in tavola

Semaforo verde per frutta e verdura e per tutti quegli alimenti che contengono antiossidanti, come le vitamine C ed E, che aumentano le difese immunitarie contrastando la crescita dei batteri. In particolar modo, limoni e agrumi che grazie alle loro azione antisettica, tonificante e cicatrizzante possono donare beneficio alle gengive infiammate, irritate e sanguinanti.

Sono da segnalare anche le cipolle per le loro proprietà antibatteriche. In particolare se mangiate crude, al di là degli effetti collaterali sull’alito note a tutti, sono in grado di contrastare addirittura differenti ceppi batterici responsabili di disturbi gengivali.

Utile in chiave preventiva si è dimostrato invece il tè verde, che secondo alcuni studi giapponesi, sarebbe in grado di aiutare a evitare le infezioni gengivali, grazie alle proprietà antibatteriche e di controllo delle infiammazioni della “epigallocatechina gallato” (un potente antiossidante naturale) in esso contenute.

Infine, per la prevenzione ma anche per la cura risulta fondamentale portare a tavola cibi ricchi di calcio e di fermenti lattici attivi in grado di rinforzare le difese immunitarie locali.

Cibi da evitare

Semaforo rosso  per il cibo da “fast food”: in presenza di gengive infiammate sono da evitare alimenti ricchi di grassi, cibi e bevande zuccherate, ma anche alimenti troppo duri o croccanti possono nuocere alle gengive già infiammate aumentandone l’infiammazione e provocandone il sanguinamento.

Quindi attenzione nell’alimentazione! Anche perché un aggravamento dell’infiammazione gengivale potrebbe comportare una degenerazione della gengivite in parodontite, con estensione dell’infiammazione ai tessuti profondi, ed insorgenza di un danno non reversibile.

Evidenze scientifiche sull’efficacia della dieta nella riduzione dell’infiammazione gengivale

Nel 2016 è stato pubblicato sulla rivista internazionale BMC Oral Health uno studio condotto presso l’Università di Friburgo, in cui si dimostra l’efficacia per ridurre l’infiammazione gengivale/parodontale di una dieta povera di carboidrati e ricca di fibre, antiossidanti, acidi grassi omega-3 e vitamine C e D. In particolare, la ricerca pilota è stata svolta su un gruppo sperimentale di 10 persone che soffrivano di gengive infiammate.

Il campione è stato diviso in due gruppi. Il gruppo sperimentale ha seguito per 4 settimane una dieta con gli alimenti, sopra indicati. Il gruppo di controllo invece non ha apportato cambiamenti nella sua alimentazione. E’ importante sottolineare che l’intero campione ha continuato a seguire la stessa igiene orale. Ne è risultato che mentre gli indici di placca sono rimasti invariati sia nel gruppo sperimentale che in quello di controllo, a cambiare invece sono stati i parametri infiammatori, dimezzati nel gruppo che aveva sostenuto la dieta. Si è concluso che diminuire il consumo di carboidrati e privilegiare alimenti ricchi di acidi grassi Omega-3, vitamine C e D e fibre contribuisce a ridurre significativamente l’infiammazione gengivale e parodontale.

Come sempre, l’adozione di un corretto stile di vita (anche a tavola) si dimostra la scelta vincente per mantenersi in salute!

MIO FIGLIO HA DELLE MACCHIE SCURE SUI DENTI!

MIO FIGLIO HA DELLE MACCHIE SCURE SUI DENTI!

Capita abbastanza di frequente che genitori allarmati si rivolgano al dentista per la presenza di macchie scure sui denti dei propri bimbi. Il più delle volte sono carie e in tal caso origine e soluzione del problema sono note a tutti. Altre volte accade però che queste macchie non siano associate a “buchi” del dente e si localizzino sulla superficie esterna dei denti, per lo più in prossimità della gengiva. Di cosa si tratta? Sono le cosiddette 𝘽𝙡𝙖𝙘𝙠 𝙎𝙩𝙖𝙞𝙣s (macchie nere), fenomeno caratterizzato dalla comparsa di pigmentazioni nero-marroni ad aspetto lineare tipicamente separate, localizzata prevalentemente sul colletto e sulla superficie esterna ed interna del dente.
Si ritiene che il pigmento scuro alla base di queste macchie derivi dall’interazione tra batteri cosiddetti cromogeni (ovvero che producono una sostanza colorante capace di tingere il substrato in cui essi vivono) e gli ioni ferro presente all’interno del cavo orale. Alcuni alimenti a PH molto acido, come ad esempio i pomodori o i succhi di frutta possono inoltre influire sullo sviluppo di questa condizione batterica, provocando l’alterazione superficiale dello smalto sotto forma di microruvidità, che quindi facilita l’adesione della placca e/o delle macchie.
Le Black Stains possono interessare sia i denti decidui (con una prevalenza che varia dal 2 al 16%) che quelli permanenti ma tendono a regredire con lo sviluppo puberale a causa del variare della flora batterica. Se da un lato queste macchie hanno un fastidioso effetto antiestetico, d’altro canto sembrerebbe che chi ne è portatore sia più protetto dalla carie rispetto a chi non le presenta. Ciò sembrerebbe riconducibile ad alcuni fattori:

– una predominanza significativa di batteri cromogeni rispetto ai batteri responsabili della carie;

– un effetto cariostatico del ferro (cioè capace di arrestare lo sviluppo della carie)che ricoprendo la superficie del dente in più strati, fornirebbe una protezione dai prodotti acidi;

– maggiore capacità tampone della saliva (cioè di neutralizzazione degli acidi della placca batterica) dei soggetti con Black stains, con conseguente impatto positivo nella protezione dalla carie.

Alla luce di quanto scritto, cari genitori potete dunque stare tranquilli perché queste macchie non sono una patologia! Il trattamento, che ha solo finalità di carattere estetico, consiste in sedute di igiene professionali da ripetersi periodicamente poiché tale colorazione tende ad riapparire frequentemente. Un ulteriore valido aiuto sembrerebbe essere rappresentato dall’assunzione di preparati probiotici a base di Lattoferrina che, sottraendo ferro all’ambiente orale, ne preverrebbe la formazione.

OTTURAZIONI IN AMALGAMA: SOLO “BRUTTE” O ANCHE TOSSICHE?

OTTURAZIONI IN AMALGAMA: SOLO “BRUTTE” O ANCHE TOSSICHE?

L’amalgama è una lega metallica usata in odontoiatria conservativa per otturare i denti. Essa è costituita da mercurio (45-50% circa del contenuto totale), argento (22-32%), stagno (11-14%), ed altri metalli. Largamente utilizzata in passato come materiale d’elezione per l’otturazione dei denti cariati, negli ultimi due decenni è stata gradualmente soppiantata dai cosiddetti materiali compositi che garantiscono una migliore estetica, e risultati altrettanto validi. La maggiore valenza estetica dei nuovi materiali da otturazione non è l’unica causa che ha portato alla riduzione dell’utilizzo dell’amalgama negli studi dentistici: bisogna infatti ricordare che un altro importante motivo che ha portato alla riduzione del suo impiego è la cosiddetta tossicità ambientale da mercurio.

Ma allora chi ha nella sua bocca otturazioni in amalgama è in pericolo?

Facciamo un po’ di chiarezza e spegniamo gli allarmismi che negli ultimi anni hanno portato ciclicamente a fenomeni ingiustificati di “emergenza amalgama”. La tossicità ambientale del mercurio, che non è assolutamente in discussione, non implica infatti che le otturazioni in  amalgama siano pericolose per i pazienti. Il mercurio è un metallo pesante che si presenta liquido a temperatura ambiente e risulta pericoloso per la salute delle persone quando si trova in forma libera. Fino a quando il mercurio presente nell’amalgama rimane nel dente sotto forma di lega metallica, il pericolo di intossicarsi è pressoché nullo. Quando infatti il mercurio si lega agli altri metalli, è praticamente stabile e non si disperde, se non in quantità davvero trascurabili, e comunque di molto inferiori a quelle che introduciamo con gli alimenti.

In media una persona che ha nella propria bocca 10 otturazioni in amalgama (che è peraltro un numero elevato) va incontro a un assorbimento giornaliero 50 volte inferiore ai limiti di sicurezza stabiliti dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. 

Per precauzione la stessa OMS e l’Unione europea hanno consigliato di limitarne l’utilizzo, preferendo, altri materiale da ricostruzione in particolare su soggetti potenzialmente vulnerabili come bambini e donne in gravidanza. Ai primi di febbraio il Parlamento Europeo ha dato il primo via libera a un provvedimento che, prevede, dal 2018, il divieto dell’uso di amalgama dentale nelle otturazioni per i bambini sotto i 15 anni e le donne in gravidanza o in allattamento. Questo anche per ridurre la dispersione del mercurio e così i  ridurre  rischi ambientali.

L’amalgama può quindi essere considerato sicuro sotto l’aspetto della tossicità, ma come avviene permolte altre sostanze, può provocare  reazioni allergiche legate ai metalli che lo compongono. Queste reazioni si manifestano con alterazioni dell’aspetto dei tessuti gengivali,  in particolare con lesioni lichenoidi (che assumono l’aspetto simile a quello del “Lichen planus”, una patologia autoimmune che può colpire le mucose del cavo orale) in vicinanza dell’otturazione, e possono essere diagnosticate attraverso le prove allergiche  specifiche. In questi casi ovviamente è indicata la sostituzione dell’otturazione

Tra le altre indicazioni alla rimozione dell’amalgama ricordiamo la sopraggiunta inadeguatezza della ricostruzione (la frattura parziale o recidiva cariosa di un dente ricostruito con amalgama dentale) che ne impone la sostituzione con materiali di nuova generazione, non essendo possibile un legame chimico tra amalgama e resine composite (materiali estetici) che garantisca la “impermeabilità” dei denti dall’attacco dei batteri responsabili della carie.

La rimozione per questioni di carattere estetico non solo non rappresenta una indicazione reale (secondo i criteri dell’OMS) ma  può essere addirittura controproducente perché espone in maniera ingiustificata sia il paziente che il dentista al rischio di inalare vapori di mercurio con potenziali danni per il sistema nervoso e per i reni. Ecco allora che, qualora non si presenti almeno una delle indicazioni previste dall’OMS, è preferibile in molti casi tenersi le vecchie otturazioni. Alcuni studi hanno inoltre dimostrato che le persone con molte otturazioni in amalgama non hanno un tasso di mercurio più alto nel sangue o nell’urina rispetto a chi ha i denti sani o curati con la resina bianca. D’altronde, l’Organizza zione mondiale della sanità non ha mai messo al bando l’amalgama, ma si è limitata a raccomandare di non usarlo nei bambini e nelle donne in gravidanza.
Qualche minimo rischio si corre perciò solo quando l’otturazione viene rimossa.  Per questo motivo, nei casi in cui la rimozione si impone,  occorre isolare il dente dal quale rimuovere l’amalgama con la diga ed impiegare un’aspirazione ad alta velocità. L’irrigazione deve essere abbondante per garantire un valido raffreddamento  e bisogna creare la minore quantità possibile di polvere, sezionando l’otturazione in frammenti delle massime dimensioni possibili e rimuovendoli in blocco.

 

 

PARODONTITE: PREVENZIONE, DIAGNOSI E TERAPIA

PARODONTITE: PREVENZIONE, DIAGNOSI E TERAPIA

La parodontite è una malattia dentale ad eziologia (causa) batterica e a patogenesi (evoluzione) infiammatoria che colpisce l’apparato di supporto del dente, ovvero il parodonto. Nota anche come “piorrea”, è una patologia piuttosto subdola che – se non curata – può condurre alla distruzione dei tessuti che assicurano sostegno e stabilità ai denti. Come accade per tutte le patologie che possono colpire il nostro organismo, la malattia parodontale è il frutto dell’interazione tra un soggetto (con il proprio “patrimonio genetico”) e dei fattori patogeni esterni (batteri). Ne consegue che esiste una “predisposizione” allo sviluppo della malattia che deve essere preso in considerazione sulla base della cosiddetta anamnesi familiare.

Cause e sintomi

L’apparato di supporto del dente è costituito dalla gengiva, da fibre elastiche di collegamento tra dente e osso (legamento parodontale), dal cemento radicolare e dall’osso alveolare di sostegno.

In un primo stadio, il processo infiammatorio che accompagna la parodontite interessa la parte più superficiale del parodonto ovvero le gengive: in questo stadio, ancora del tutto reversibile, si parla di gengivite. Il sintomo più caratteristico è rappresentato dal sanguinamento delle gengive, che si manifesta anche in seguito a traumi di modesta entità, come lo spazzolamento dei denti o la masticazione di cibi duri. Se intercettata e curata precocemente, la gengivite rientra del tutto con “restitutio ad integrum” (guarigione completa).

Una gengivite trascurata invece può portare ad una retrazione del normale solco gengivale, fino a formare – con la complicità della placca batterica che l’ha generata – le cosiddette tasche parodontali. In conseguenza dell’infiammazione, infatti, le gengive si retraggono e si formano le cosiddette “tasche”, ovvero delle nicchie in cui i batteri anaerobi (che vivono in assenza di ossigeno) possono proliferare  fino ad estendere il processo infiammatorio al legamento parodontale e alle ossa che fanno da base ai denti. Raggiunta questa fase si parla più propriamente di parodontite.

Negli stadi più precoci, assieme al sanguinamento delle gengive, la parodontite può manifestarsi con alito cattivo e strano sapore in bocca. Generalmente non vi è dolore nè mobilità dei denti. Negli stadi più avanzati, i sintomi si accentuano con comparsa di alitosi marcata, sanguinamento severo, recessione delle gengive con esposizione delle radici dei denti, comparsa di spazi tra i denti, eccessiva mobilità dentale con dolenzia diffusa dei denti.
La gengivite, come del resto la parodontite, è primariamente dovuta alla placca dentale, quella sorta di patina che si accumula sulla superficie dei denti al termine dei pasti. che può arrivare ad accogliere al suo interno intere colonie batteriche. Tanto più vengono lasciati liberi di proliferare e tanto più questi batteri aderiscono tenacemente alla superficie del dente, richiamando minerali ed altre sostanze, presenti nella saliva, portando alla formazione del tartaro. Una  volta che la placca si è “trasformata” in tartaro, la sua durezza è tale per cui i normali interventi di igiene orale domiciliare (spazzolamento e uso del filo interdentale) non sono più in grado di scalfirla. L’unica soluzione efficace in questi casi, è sottoporsi ad un intervento di detartrasi professionale da parte di un dentista o di un igienista dentale.

Secondo recenti studi la parodontite, oltre ai classici problemi alla dentatura, aumenta il rischio di subire malattie cardiovascolari e, nella gestante, di partorire prematuramente; è inoltre più grave nel paziente diabetico, affetto da morbo di Crohn o colpito da altre patologie che

minano le difese immunitarie e/o i tessuti connettivi delle gengive.

La parodontite interessa a vari livelli di gravità circa tre quarti della popolazione adulta ed è più frequente nel sesso femminile rispetto a quello maschile con una prevalenza doppia.

Il tutto, purtroppo, avviene spesso in maniera asintomatica, tanto che la parodontite può progredire ed aggravarsi senza quasi accorgersene. Purtroppo, tanto più tardivamente viene diagnosticata e tanto più la malattia è difficile da trattare; i costi ed i rischi degli interventi lievitano fino a sconfinare, nei casi più gravi, all’irreversibilità del processo. Nello stadio più avanzato, per la perdita del suo naturale sostegno, si assiste alla caduta del dente.

 

Trattamento e prevenzione

Il miglior mezzo di prevenzione della parodontite consiste in una pulizia regolare e accurata dei denti e degli interstizi attraverso l’impiego di spazzolino e filo interdentale. A proposito di quest’ultimo bisogna ricordare che il filo interdentale è uno strumento di igiene orale che gode della stessa importanza dello spazzolino, agendo su una parte del dente (circa il 40% dela superficie) che non può essere raggiunta dallo spazzolino. Anche l’astensione dal fumo è d’aiuto, poiché le tossine in esso contenute non possono che facilitare l’azione lesiva dei batteri. Se infatti la malattia parodontale riconosce come causa la proliferazione di batteri, va ricordato come il fumo di sigaretta è da sempre considerato il principale cofattore nello sviluppo della patologia.  Per “dormire sonni tranquilli” occorre inoltre sottoporsi periodicamente a regolari controlli odontoiatrici, che permettono di riconoscere i segni precoci della parodontite e ad intraprendere interventi mirati. In questo modo è possibile prevenire i fattori di rischio modificabili, tra i quali ricordiamo anche lo stress e tutte le altre condizioni che possono diminuire le difese immunitarie dell’organismo (viceversa, quelle che le potenziano sono d’aiuto nella prevenzione della piorrea). Non si può invece intervenire in maniera diretta sulla suscettibilità genetica alla parodontite.

Allo stato attuale non esiste una terapia “curativa” per la parodontite. La parodontite è infatti una patologia cronica che deve essere tenuta sotto controllo evitando riacutizzazioni. Il trattamento d’elezione dell parodontite è rappresentato dal cosiddetto curettage (o levigatura radicolare), una procedura che viene eseguita dal dentista o dall’igienista dentale e che agisce in modo duale: da un lato  permette una “detossificazione” delle tasche parodontali mediante asportazione dei batteri attraverso la rimozione del cemento radicolare infetto, dall’altro consente di levigare la parte più esterna della radice dei denti affetti lasciando una superficie più liscia e quindi più difficilmente colonizzabile dai batteri. A questo tipo di trattamento è possibile associare l’impiego strumenti di nuova generazione (laser) in grado di completare l’azione svolta dai primi con un’azione foto-chimica.

SIGILLATURA DEI SOLCHI: COME, QUANDO E PERCHE’

SIGILLATURA DEI SOLCHI: COME, QUANDO E PERCHE’

La sigillatura dei denti è una procedura utilizzata per prevenire la formazione delle carie. Viene utilizzata soprattutto sui denti molari perché composti da molti solchi dentali che diventano un ambiente ideale per la proliferazione dei batteri che causano la carie, ma può essere eseguita su tutti i denti dotati di solchi (denti posteriori) soprattutto se presentano una morfologia sfavorevole (solchi profondi e fortemente diramati). I germi, giorno dopo giorno, accumulandosi all’interno dei solchi, possono portare allo sviluppo di carie.

Solitamente la procedura viene eseguita nei bambini allorquando compaiono in arcata i cosiddetti “sesti”, ovvero i primi molari permanenti (che si affacciano per la prima volta nel cavo orale generalmente attorno ai 6 anni) e preferibilmente entro i primi due anni dalla loro eruzione.
L’intervento consiste nell’applicare, sulla superficie masticatoria dei denti, una speciale vernice capace di proteggere lo smalto dentale da eventuali processi che portano a carie future con un meccanismo duale: da un lato “riempiono” i solchi rendendo più difficile l’accumulo di batteri e più semplice la detersione, dall’altro rilasciano lentamente e costantemente fluoro rinforzando localmente lo smalto. In questo modo si evitano eventuali interventi più invasivi come l’otturazione dentale.
La terapia è totalmente indolore, bastano pochi minuti e non occorre anestetizzare il paziente.
Non esistono controindicazioni poiché i materiali utilizzati non sono assolutamente tossici e nel corso del tempo non rilasciano alcun tipo di sostanza nociva.
Le sigillature dei solchi si sono dimostrate efficaci sin dalla loro introduzione tra le procedure di prevenzione della carie (fine anni ’70) e, se effettuate con materiali di qualità, possono durare anche diversi anni. Al fine di prolungarne la durata, si raccomanda di limitare il più possibile l’assunzione di cibi e bevande acidi (coca cola, succhi di frutta etc.) che possono oltre ad aggredire lo smalto dentale, accelerare il deterioramento del materiale. Nel caso col tempo le sigillature dovessero rovinarsi è possibile procedere con un intervento per sostituire la vecchia sigillatura con una nuova.

 

BRUXISMO…UN NEMICO PER I TUOI DENTI!

BRUXISMO…UN NEMICO PER I TUOI DENTI!

 

In Italia oltre 15 milioni di persone soffrono di bruxismo. Secondo una quotata associazione scientifica  di categoria (Aiop – Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica), negli ultimi anni l’incidenza della malattia è aumentata significativamente in tutto il mondo al punto che in Occidente il 12% delle persone soffrirebbe di bruxismo notturno, mentre circa il 30% della forma diurna.

Ma cosa è il bruxismo? Come facciamo a sapere se soffriamo di questo disturbo? Ma soprattutto cosa bisogna fare se si soffre di questa patologia?

Il bruxismo  è un disturbo che coinvolge l’apparato masticatorioe colpisce persone di ogni età, compresi i bambini. Può manifestarsi con il serramento e il digrignamento (strofinio) dei denti, ma può assumere anche la forma del “serramento mandibolare”, che porta a mantenere i muscoli rigidi, in una posizione fissa, senza alcun contatto dentale. Quest’ultima condizione, in particolare, è considerata dagli esperti uno dei fenomeni emergenti del nuovo millennio. Fra le cause alla base di questa ultima condizione, ci sarebbero anche i ritmi di vita sempre più frenetici e alcuni comportamenti a rischio, come fumo e consumo di alcolici o l’assunzione di alcune droghe sintetiche.

Il disturbo può provocare una eccessiva ed anomala usura dei denti ma anche un deterioramento dei lavori odontoiatrici presenti in bocca ai pazienti – come corone, intarsi, faccette e otturazioni. Inoltre, spesso si associa a difficoltà funzionali nei movimenti di apertura e chiusura della bocca, indolenzimento dei muscoli masticatori e delle articolazioni . “Tra i principali segnali spia che possono far sospettare il bruxismo – spiega Fabio Carboncini, Presidente Aiop -, oltre a una dentatura danneggiata o consumata, vi sono il rumore notturno, presente nel 25% dei casi, la sensazione di tensione mandibolare al risveglio o di dolore localizzato alle arcate dentali e la ricorrenza di cefalee muscolo-tensive”.

“Nel bruxismo diurno l’approccio cognitivo-comportamentale è probabilmente la migliore opzione terapeutica disponibile: consente infatti di ottenere maggiori benefici nel lungo termine, favorendo la consapevolezza individuale del fenomeno e facendo comprendere al paziente la necessità di controllare la muscolatura masticatoria, mantenendola in posizione di riposo, durante la giornata – prosegue l’esperto -. Occorre poi agire sugli stili di vita meno alcol, fumo e caffè, soprattutto la sera, ritmi più rilassati e una buona qualità del sonno sono tutti fattori che aiutano ad allentare la tensione sui muscoli masticatori e il loro sovraffaticamento.

In caso di bruxismo severo, è indicato l’uso delle placche intraorali in resina acrilica, i cosiddetti ‘bite’, di norma utilizzati solo la notte, allo scopo di proteggere la dentatura, alleviare la pressione sulle articolazioni mandibolari e distendere le fibre muscolari contratte. Assolutamente controindicate sono invece le placche ‘fai da te’ che, comprate in farmacia, possono addirittura accentuare il fenomeno”.

 

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